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24-25 ottobre 2016 h21.00

IL GRANDE INQUISITORE

da I fratelli Karamazov di F.Dostoevskij
con Cosimo Cinieri
e con Nicola Vicidomini, Roberta Laguardia
la partecipazione di Bibiana Carusi soprano
Domenico Virgili orchestrazione e tastiere
Paola Maffioletti coreografia
Esperimento Cinema montaggio video
Giannantonio Marcon conversione digitale.
E gli allievi della Scuola di Teatro Fondamenta.
Regia: Irma Immacolata Palazzo

Scenografia: Fabiana Di Marco
Pittore: Giancarlino Benedetti Corcos
Costumi: Adelaide Innocenti
Foto di scena: Daniele Lanci
Dir. di scena: Damiano Francesco Palazzo

Il gioco del Doppio, tema caro a Dostoevskij, è la chiave di volta attorno alla quale ruota lo spettacolo IL GRANDE INQUISITORE, dove la figura del Cristo diviene una mera proiezione di determinati aspetti della coscienza.
Inizio cantato e coreografato (Paola Maffioletti), quasi fossimo 'caduti' improvvisamente nell'evocazione del celeberrimo musical Jesus Crist Superstar e quindi, stilisticamente, richiamati a vivere il Doppio della figura del Cristo. Decisivo il 'voto' del popolo, impersonato dagli allievi della Scuola di Teatro Fondamenta, che, tra Cristo e il ladrone, si sa, sceglierà Barabba. Sui loro abiti bianchi (Cristo è l'umanità) verranno proiettate in parte le varie stazioni di una singolare Via Crucis fotografata nel 1981, e per l'occasione rielaborata in slide. Il video, proiettato sul fondale, che racconta di una Passione 'giocata' e vissuta nella periferia del Sud, un solitario rito-spettacolo, nel quale Cosimo Cinieri truccato da Gesù portò una pesante croce per le strade, è supportato da una colonna sonora di voci fuori campo: esplosioni di parole come quelle che vengono dette o urlate a ogni angolo della strada, in attinenza con la lingua furbesca e popolare, commento degli astanti di fronte a un 'mistero' di una religiosità etnologicamente cupa che accetta come vera la rappresentazione, legata com'è alle proprie credenze o illusioni religiose. Commenti stupiti, ammirati, partecipi o increduli, fideismi e scetticismi, della povera gente assiepata lungo il percorso: comari, vecchi sfaccendati, ragazzotti. Un documento della demenzialità diffusa esilarante e agghiacciante al contempo, un impasto di scioccaggine, superstizione, 'cuore in mano', pruriginoso pietismo, credulonità da tossicodipendenza televisiva (frequenti i richiami al Gesù zeffirelliano).
In contrappunto, il canto del soprano Bibiana Carusi, che scopriremo infine essere il Doppio di quel Cristo in borgata. Da Madonna Addolorata per quel Figlio destinato al Golgota e fuori per destino da qualsivoglia agognato sogno materno, il soprano infine si fa silenzioso Cristo anch'esso, di fronte all'eloquio del sofista Inquisitore. Simmetrici, sul lato destro della scena, spettatori e poi commentatori della filippica dell'Inquisitore, i due fratelli Karamazov: Ivan (Nicola Vicidomini), autore del poemetto messo in scena, e Alioscia (Roberta Laguardia), altro Doppio del Cristo, qui a testimoniare in maniera più umana una variante della divina –fattasi umana- comprensione, nei confronti del fratello che finirà pazzo a causa delle sue idee.
Il testo, e conseguentemente la sua messinscena, consente molteplici riflessioni che riguardano la contemporaneità. Morto Dio, o l'idea di Dio, che poi è la stessa cosa, davvero all'uomo è permesso tutto? E davvero l'uomo non sa reggere la libertà di scelta tra bene e male preferendo invece un destino servile, manovrato da padri-padroni (oggi, soprattutto il mercato e la TV) che, secolo dopo secolo, scelgono per lui, manovrandolo e manipolandolo in cambio di una fittizia tranquillità? Nel mondo della globalizzazione, nel quale i confini hanno sempre minor importanza, e lo Stato non è più l'esclusivo detentore del potere, nella nostra epoca, il Grande Inquisitore si nasconde appunto dietro il concetto impersonale di mercato, che, attraverso la pubblicità, influenza non solo gli acquisti ma anche gli stili di vita. Anche la religione, ci dice Dostoevskij, quando occorre, entra nel gioco, e viene strumentalizzata per contribuire a organizzare la società così come la pretende il Grande Inquisitore, lasciando gli uomini nella condizione di sudditi non permettendogli di diventare cittadini consapevoli, uomini.
Dostoevskij elabora, con questo suo romanzo-testamento dai forti accenti filosofici, la prima impietosa radiografia della crisi dell'uomo contemporaneo, lacerato da contraddizioni insanabili, che abita un contesto incerto e ormai senza punti di riferimento.
I suoi personaggi sono incarnazioni di figure morali che si dibattono su un palcoscenico dell'anima; talmente vivi da sentirceli contemporanei ed empaticamente vicini.

 


RASSEGNA STAMPA

"Il grande Inquisitore" con Cosimo Cinieri
Corriere della Sera 24/10/2016

Cinieri è "Il grande Inquisitore"
il Tempo 24/10/2016

Cosimo Cinieri è l'Inquisitore
TrovaRoma 20/10/2016

 

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