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Home > Angelo x Cristiano dal 25 al 30 settembre ANGELO X CRISTIANO Ideazione e coreografia Alessandra Luberti Collaborazione artistica Claudio Collovà Interpreti Alessandra Luberti, Simona Malato Disegni animati Elisabetta Zenzola Musiche Four Tet, Kim Horthøy , John Surman, Lou Reed, Led Zeppelin Produzione Compagnia Esse p.a. (Palermo) - Coop. Teatrale Dioniso (Palermo) Coproduzione Magazzino Culturale Majazé (Catania), Officina Ouragan (Palermo) Con il sostegno della Regione Sicilia assessorato ai beni culturali, ambientali e pubblica istruzione Organizzazione Roberta Milazzo “Dopo la pazienza dei sensi caddero tutte le giornate. Dopo della gioia scese l’inferno, dopo il paradiso il lupo nella tana. Dopo l’infinito ci fu la giostra, dopo della noia scrisse i suoi versi l’amante. Dopo della notte cadde l’intero sostegno del mondo. Dopo dell’ inferno nacque il figlio bramoso di distinguersi. Dopo dell’aria che scendeva delicata attorno al suo corpo immenso, nacque la figliola col cuore devastato, nacque la pena degli uccelli. “ Amelia Rosselli
‘Angelo x Cristiano’ è una fotografia di Francesca Woodman a cui dedico questo lavoro, una fotografa americana che verso la fine degli anni ’70, dai suoi quattordici ai suoi ventidue anni, ebbe un’intensissima attività creativa, prima di porre fine alla sua vita. Nelle sue immagini il corpo è stato trasportato in quelle geometrie interiori che lo definiscono in una mappa segreta, di cui emergono frammenti, piccole tracce scollegate. Questo corpo in cui transitano echi della caduta e del volo è spesso adagiato a terra o contro un muro, seminascosto o completamente esposto, nudo ma dissolto dalla luce. Scopro, nelle fotografie della Woodman, quel rapporto fra spazio, luce e movimento che distorcendo le forme, cancellandole, le rende paradossalmente intense. Credo che la forza di queste immagini, quasi tutti autoscatti, sia la capacità evocativa di uno spazio immaginario, di quell' altrove sempre presente insieme al reale. Così nel mio lavoro, il quotidiano porta con sé l’eco del tempo eterno, il mondo interiore, privato, lo spazio dell’intimità lascia il posto a ciò che dall’esterno preme, il proprio tempo e come il corpo lo vive, lo attraversa o ne è posseduto. La scena della Woodman è sempre in movimento, mai inanimata, porta con sé la dinamica di un tempo interiore che sembra appena sospettato e mai completamente evidente. Le sue immagini riproducono la visibilità del sentimento della paura, l’ansietà di stare al mondo, insieme alla speranza di un mondo possibile, di un’identità integra, in rapporto con il luogo e il tempo che abita. Ciò che mi attrae è il tentativo di Francesca Woodman di sparire all’interno dell’inquadratura, attraverso la luce e di ottenere di contro una forte presenza emotiva. Lo stato di dormiveglia da lei evocato tiene in bilico il quotidiano e il sogno, attraverso di esso il soggetto intreccia la vigilanza dello sguardo esteriore e il torpore di quello interiore. In queste atmosfere che risultano un insieme di pacatezza e intensità, accade un tempo, che fra la minacciosa quiete degli oggetti lascia presagire un gesto improvviso, o meglio il sospetto di esso. Sarebbe per me impossibile ricreare il mondo della fotografa, o supporre cosa volesse dire, afferro delle suggestioni che faccio mie, spiragli che accendono una piccola luce su qualcosa e lo seguo. Cerco di ritrovare attraverso il corpo quell’enigma esistenziale che si rivela nelle sue fotografie attraverso la profondità dell’immagine. Questo enigma ha a che fare con la profondità psichica che muove ogni comportamento. Quello che mi interessa è la paura della scomparsa che lei sembra tanto esorcizzare attraverso i suoi autoscatti. Nel momento in cui i suoi corpi si dissolvono nello spazio e si fondono con esso, l’immaginario prende il posto del visibile, ed è lì che si apre la possibilità di vivere la sua fotografia come assolutamente qualcosa di personale, lì nel momento della sparizione. “ Io vorrei che le mie fotografie potessero ricondensare l’esperienza in piccole immagini complete, nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza.” F. Woodman. Nelle sue fotografie l’ambiguità è frutto del suo rispetto per il mondo interno e la sua curiosità riguardo ad una realtà sentita fortemente. Le sue fotografie sembrano essere una serie di combinazioni, ma il suo lavoro ha poco o niente a che fare con l’dea dell’improvvisazione, anzi ha più il carattere di performance. La Woodman fu fotografa e modella, soggetto e oggetto, allo stesso tempo. Ella impiega il suo corpo per un dialogo con se stessa, usa il suo stesso corpo come un modello per investigare la sua propria visione e non un’altra visione del suo corpo. Le immagini diventano ritratti psicologici dell’identità del corpo, non la registrazione visuale dell’esistenza quotidiana ma episodi in cui la capacità immaginativa dell’artista si incontra con la ricchezza e l’intimità della sua stessa vita. La Woodman era affascinata dal modo in cui il corpo umano potesse sembrare un’apparizione, lei trattava se stessa come un’apparizione. La sua fotografia non è un tentativo di catturare un momento di sospensione, ci mostra invece l’elusività del tempo. Interessata a come le persone si relazionano con lo spazio, lei faceva una serie di giochi sul nascondersi e mostrarsi, contrastando continuamente la fragilità e la vulnerabilità del suo stesso corpo con la forza degli oggetti intorno a lei. Guanti, fogli, specchi, camini e fiori. Affascinata dal limite e dai confini, il lavoro della Woodman testimonia il momento precario tra l’adolescenza e l’essere adulti, fra l’esistenza e l’ultima scomparsa, la morte. L’uso frequente della ripetizione e della serialità, spezza la narrazione e condensa l’impressione emotiva. Il punto di partenza del lavoro è il silenzio del corpo, la sua condizione nello spazio, in un vuoto che lentamente si anima. L’uso di proiezioni e disegni animati mi dà la possibilità di sovrapporre più realtà parallele, di spostarne il punto di vista attraverso un metodo di associazione improvvisa di alcuni elementi che spezzano la possibilità di narrazione. Quello che è mia intenzione fare è usare dei materiali di partenza e lasciarli vivere in un nuovo spazio, affinché questo si lasci abitare e trasformi il punto di partenza. Alessandra Luberti
Poem about 14 hands high i am apprehensive. it is like when Francesca Woodman
Alessandra Luberti studia danza classica, contemporanea, contact improvisation, tecnica release in Italia e negli Stati Uniti, si diploma in danza movimento terapia presso l’Art Therapy Italiana. Danza per diverse compagnie di danza contemporanea fra cui : Danzatori Scalzi, Balletto di Sardegna, Luc Bouy Dance Corporation, Compagnia Adriana Borriello e Teatridithalia, Compagnia Michele Pogliani. Dirige la Compagnia di danza Esse p.a. di Roma e realizza spettacoli rappresentati in festival e rassegne italiane (Teatri ’90, Milano, Danza und Tanz, Roma, Enzimi, Roma, Festival Ammutinamenti, Ravenna, Lavori in pelle, Alfonsine, Venti Ascensionali, Orvieto, Nuova Danza, Cagliari, Teatro da Kamera, Palermo, Rialto, Roma, C.S.O.A. Forte Prenestino, Roma, C.S.O.A. Ex Carcere, Palermo…). Fra i suoi ultimi lavori “ Piacerdimiavita“ da Laing, “Subrisio saltat “ e “ Foto d’interno “ da Il mito di Sisifo di A. Camus, “ L’echo “ primo studio sull’ opera pittorica di P. Delvaux. Lavora come attrice e coreografa con il regista Claudio Collovà negli spettacoli : Eredi, ispirato a Magritte, Una solitudine troppo rumorosa, da Hrabal, L’isola dell’esilio e La caduta degli angeli, sui Drammi Celtici di Yeats, La Famiglia dal King Lear di Shakespeare, The Waste Land da T.S. Eliot, Woyzek da Büchner, Donne in tempo di guerra da Le Troiane di Euripide, Cagliostro. Come regista ai “Racconti dell’Angelo” (Cantieri culturali La Zisa, Palermo, Milano Oltre, Milano, Teatro dell’Elfo, Milano, Teatro Garibaldi UTE, Palermo, Teatro Bellini, Palermo, Enzimi, Roma, Festival di Polverigi, Polverigi, Festival Unidram 2005, Potzsdam, Germania, Nuovo Teatro Montevergini, Le vie del Medioevo, Erice 2006) Tiene seminari e laboratori di danza in diverse città italiane e stabilmente presso l’ Officina Ouragan, a Palermo, spazio di ricerca di danza e teatro nato nel 2004 in collaborazione con il regista Claudio Collovà. Claudio Collovà, regista e autore teatrale nato a Palermo. I suoi lavori sono stati prodotti, tra gli altri, dal Politecnico di Roma, da Teatridithalia di Milano, dal Festival sul Novecento di Palermo, dall’Istituto della Cultura di Bamako (Mali), dal Teatro Garibaldi di Palermo, dal Teatro Biondo Stabile di Palermo. Molti di questi lavori sono stati presentati in festival internazionali di teatro. La sua poetica, principalmente legata alla pittura e alla fisicità dell’attore, si incrocia spesso con la danza e trae origine da fonti di ispirazione non solo teatrali. Tra i suoi lavori più conosciuti ricordiamo Le buttane di Aurelio Grimaldi, Eredi su Magritte, Miraggi Corsari da Pasolini, Fratelli di Carmelo Samonà, La caduta degli angeli dai Drammi Celtici di W.B. Yeats, K L’Agrimensore dal Castello di Kafka, La famiglia dal Re Lear di Shakespeare, La Terra Desolata di Eliot, Donne in tempo di guerra da Le troiane di Euripide, Woyzek da Büchner. Ha collaborato come regista ad un progetto con il Deutches Teater di Berlino e per l’Unione dei Teatri d’Europa a uno studio sul Woyzech di Buchner al Wilhelma Teater di Stoccarda. Ha inoltre scritto e diretto alcuni cortometraggi in digitale, tra cui ricordiamo Nadja da Breton, L’alchimista da Pasolini. Con la coreografa Alessandra Luberti ha codiretto L’echo dall’opera pittorica di Paul Delvaux. Come attore ha lavorato, tra gli altri, con Antonio Neiwiller negli spettacoli Dritto all’inferno, Salvare dall’oblìo, Canaglie e con Mario Martone, Elio De Capitani e Mimmo Cuticchio. Simona Malato, Elisabetta Zenzola. Nel 1995 inizia la sua formazione teatrale presso il Teatro Kismet Opera di Bari. Continua i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Roma.
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