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22 -26 Marzo
Lady Godiva Teatro
LE PRESIDENTESSE
di
Werner Schwab
traduzione di Umberto Gandini

con
Ciro Masella, Marco Sanna, Enrico Caravita

Scenotecnica
Dennis Masotti

regia
Eugenio Sideri

produzione
LADY GODIVA TEATRO - Meridiano Zero - “TRA CIELO E TERRA” Festival di Montone

con il contributo
Comune di Ravenna - Assessorato alla Cultura
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna

Con il patrocinio della Regione Emilia Romagna
In collaborazione con Goethe Institut– Mailand e Forum austriaco di cultura -Roma


1) SCRIVO CON LA SPERANZA DELLA DISPERAZIONE. ESSERE PARTE DELL’UMANITÀ NON SIGNIFICA ALTRO CHE CONOSCERE LA DISPERAZIONE.
2) CIÒ CHE MI ATTIRA NEL TEATRO È IL SUO GIGANTESCO ANACRONISMO E LA MIA IDEA PERVERSA DI SALVARE IL TEATRO: TRASFORMARE LA LINGUA IN VERA CARNE UMANA…E VICEVERSA.
3) LE PAROLE, DATE A PRESTITO PER SCATENARE L’EVENTO TEATRALE, SERVONO A SOFFRIRE, A VUOTARE L’ANIMA E TUTTO QUELLO CHE CI STA DENTRO: IL CORPO.

Werner Schwab, Drammi fecali

2004: DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA DEL FEROCE AUTORE AUSTRIACO.

LA TRAMA.
Erna, Grete, Maria sono i personaggi che costituiscono il dramma de “Le presidentesse”.
Un dramma che si sviluppa senza azioni concrete, senza sviluppi scenici di particolare rilievo. Parole e storie raccontate in enormi quantità che vanno a sbrogliare o forse imbrogliare la vita delle tre signore, mettendole a nudo.
Sono figure che, in un’apparenza ingannatoria, paiono ai margini della società, rinchiuse fra pareti tra il kitsch e la miseria, sembrano veramente non poterci raccontare nulla se non i loro malanni, le piccole miserie quotidiane, le speranze svanite o il ricordo dei figli ormai grandi e ignari delle genitrici.
Dentro questi racconti, però, pian piano va ad insinuarsi con ferocia e violenza, la crudele realtà di miseria, alcoolismo e abbandono in cui le protagoniste vivono. Ma non solo: le loro storie fanno emergere, incontrollati, lampi di pura violenza quotidiana. Così accade quando scopriamo che Herrmann, figlio di Herna, è mostruosamente devastato dall’alcool e che Hannelore, figlia di Grete, ha subito nell’infanzia violenze sessuali da parte dell’ex marito di Grete. Si scatena un turbinio di suoni, parole che cominciano a rivendicare vite che volevano andare in un altro modo, ma che così non è stato. Repressioni sociali, vincoli religiosi dal sapore bigotto, fanno di queste signore un ritratto feroce nel quotidiano, un momento di critica alle condizioni attuali di violenza subliminale e psicologica.
Restano solo i sogni, quelli che ci raccontiamo ad occhi aperti, a far sopravvivere le nostre eroine. Ed infatti è in quei sogni che le tre cercano di sopravvivere, regalandosi quelle piccole gioie che la vita ha loro negato: un compagno, un amante, un buon profumo, tanto buono che Maria se lo beve tutto in un sorso.
Anche i sogni, però, non riescono a sopravvivere e si trasformano in un terribile incubo la cui unica via d’uscita è sanguinaria.
Ciò che resta, alla fine, è la crudele menzogna del teatro.

“La patria ideale dei personaggi di Schwab non è la scena, ma il linguaggio […] le parole, date a prestito per scatenare l’evento teatrale servono a soffrire, a vuotare l’anima e tutto quello che ci sta dentro: il corpo”
Roberto Menin, Werner Schwab e i drammi fecali, Ubulibri

PAROLE. PAROLE. PAROLE
Un vortice le prende, le incatena, ne costruisce storie di grande umanità e le distrugge, annientando sogni, speranze, illusioni.
Che resta?
Il miracolo, lindo casto e puro. Il miracolo dell’oro e della merda. E un odore, nell’aria, di sangue umano.
Tutto il resto va a farsi fottere.

Ritrovarsi a recitare, costretti a recitare, ad indossare ruoli, parole, abiti che qualcuno o qualcosa impone.
Dentro all’arena, in mezzo al circo dei gladiatori e delle belve, tre attori in una gabbia che potrebbe essere un palchetto da sagra paesana. L’addobbo è festoso, di quelle feste, però, ormai finite da mesi. Come a ritrovarsi in mezzo a festoni natalizi in pieno luglio.
Siamo in teatro, e sul palcoscenico del teatro ecco un altro teatro, il palchettino, appunto, dagli addobbi festosi. E sopra tre sedie e un tavolo.

Uomini che recitano la parte delle donne, ma che restano uomini senza fare le donne. Attori.

E’ su questa scena della rovina, su questo palco-patibolo che sviluppano la loro condanna: obbligati a recitare, a dar vita a quelle figure senza perdere se stessi, a raccontare la loro miseria per far godere il pubblico imperiale. Proprio quella miseria, dentro abiti dall’odore canceroso e ammuffito, li farà mettere a nudo, lentamente, facendo scoprire la loro vera miseria, la tragica condizione che li condanna, ogni giorno, a recitare la parte.


DAL BASSO.
E’ un dramma che parte dal basso, da quello strato di quotidianità che è squallore, mediocrità , ipocrisia. Su questo livello si pongono Erna, Grete e Maria, le protagoniste. I loro racconti scivolano su questo piano, invischiandosi vertiginosamente fino a sollevarsi in drammi più tremendi e sanguinari. E’ come se le loro parole, lentamente, levitassero dalla melma ma si trascinassero i filamenti della melma stessa. Quella sollevazione, quel tentativo di fuggire o almeno allontanarsi dalla terra-palude, è rappresentata dai loro sogni.

Saranno però gli stessi sogni, dopo essere stati dettagliatamente descritti, a ricordarsi di quei filamenti, di quello strascico melmoso che li continua a tenere inchiodati alla palude. E i sogni stessi ripiomberanno ferocemente a terra, catapultati nuovamente nel quotidiano.

Regine. Per una notte, per la durata di un sogno, per quel che basta per dire non ritrovarsi, come ogni giorno, nella merda. Elette ed elevate, dietro l’ultimo sipario, a vestirsi da presidentesse con quei panni di sempre che sembrano luccicare come l’oro.

Da indossare, la sera successiva, a condanna della vita.

A CHIUDERE.
“ Le presidentesse” è un progetto coltivato e portato avanti con grandi sacrifici e amore. E’ un progetto nato dall’incontro di persone che , pur mantenendo le proprie autonome progettualità artistiche, hanno deciso di condividere un percorso di confronto e crescita, di messa in discussione e di necessità profonda.
“Le presidentesse” non ha lucrosi finanziamenti, non ha vantaggiose produzioni: c’è una necessità sanguigna ed epidermica di far esistere questo testo nella sua attualissima e ferocissima critica sociale. Un sasso nello stagno, forse, ma anche un profondo bisogno di lanciare quel sasso, con tutte le proprie forze.
Per sentire ancora una volta quella vita vera che passa nel fare il teatro.
Tutto il resto è spettacolo.

Eugenio Sideri