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18 marzo-18 maggio
La Fabbrica dell'Attore (teatro stabile d'innovazione)
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Cechov

Personaggi e interpreti
Liuba Andreevna, possidente Manuela Kustermann
Ania, sua figlia Astra Lanz
Varia, sua figlia adottiva Sara Borsarelli
Leonid Gaev, fratello di Liuba Paolo Lorimer
Ermolaj Lopachin mercante Pietro Bontempo
Piotr Trofimov, studente Sandro Palmieri
Piscik possidente Massimo Fedele
Charlotte governante Tatiana Winteler
Epichodov contabile Andrea Dugoni
Dunjasa cameriera Francesca Fava
Firs cameriere Felice Leveratto
Jasa cameriere Marco Petri
Un viandante Andrea Dugoni

Regia di Giancarlo Nanni
Scene e costumi Giancarlo Nanni, Chiara Paramatti, Sara Bianchi
Luci Valerio Geroldi
Assistente alla regia Gaia Benassi



Dopo Il Gabbiano Manuela Kustermann e Giancarlo Nanni affrontano nuovamente il grande Cechov con la messa in scena di uno dei suoi drammi più belli e struggenti, ma anche più attuali.

Il testo affronta infatti il tema dei nuovi ricchi la cui arroganza e prepotenza sta distruggendo la bellezza del mondo. Il giardino dell'aristocratica Liuba Andreevna, che ogni anno fiorisce di meravigliosi fiori bianchi, sarà acquistato e abbattuto da Lopachin, un ex servo della gleba arricchito, che ne farà oggetto di una speculazione edilizia per accontentare le nuove smanie di villeggiatura dei nuovi ricchi.



Il mondo di proprietari terrieri, abituati all'agiatezza ed allo sperpero, ma incapaci di gestire i propri affari, rappresenta una classe sociale il cui ruolo storico si è esaurito ed è sostituito dai nuovi affaristi.

La stesura di questo capolavoro costò a Cechov tre anni di lavoro e fu terminata alla fine del 1904, a meno di un anno dalla sua morte. E fu in questi anni che le sue convinzioni ideologiche si rafforzano, come dimostrano le sue posizioni sull'affare Dreyfus, le dimissioni dal giornale reazionario “Tempo nuovo” e dall'Accademia delle Arti per solidarietà con Gorki, che ne era stato espulso.

Note di regia

“…abbiamo iniziato con dei malintesi e cosi finiremo....mi sembra questo il destino di questa pièce..”
Anton Cechov 26 nov.1903

Così questo parto lunghissimo della commedia di Cechov prende vita nella nostra scena e il paragone con la nostra situazione attuale,del nostro teatro Vascello,voglio dire mi pare immediato.
Questo teatro è il nostro “giardino dei ciliegi “ che deve essere venduto per i troppi debiti,che ,forse,diventerà un garage o un supermercato, perché questo vuole il ibellino progresso, perché il DIO DENARO ha ormai occupato tutto lo spazio della nostra cultura millenaria,non c’è più spazio per la memoria, per i ricordi del passato, tutto si cancellerà, perché anche a Cechov sembrava ormai invadente il nuovo Moloch, il dio denaro, rappresentato dall’arricchimento dei figli della plebe, certo giusto e giustificato, ma ecco, il nuovo capitalismo è alle porte, senza cultura, senza grazia, senza conoscenza,senza memoria.
Certo questa famiglia aristocratica, (ma già meticcia: la nobildonna Liuba che sposa un avvocato dissipatore, che ha un amante, che infrange le regole, che scappa dal dolore per il figlio annegato, ma che incontra nuovo dolore a Parigi) non sa adattarsi al cambiamento, alle nuove regole; e così tutti gli altri componenti di questa famiglia alla deriva, che dipendono da Lei, da ciò che Lei rappresenta.
Ma il nuovo mondo del figlio della plebe Lopachin, non l’affascina, non la convince, “è volgare “.
E il giovane, l’eterno giovane Trofimov, conferma questa distanza tra due mondi, ne preannuncia un terzo, utopistico, sognato, un mondo dove non ci siano più diseredati, dove ci siano asili nido, case per gli operai e per i poveri, assistenza e solidarietà, che ancora oggi qui in Italia, simile alla Russia di cento anni fa, ancora non esistono o non sono abbastanza, dove ancora immigrati dormono in 40 in una stanza, dove non c’è pietà e solidarietà, ma egoismo e corruzione.
Ma in questo testo si parla anche spesso di sogni: tutti sognano, ma non sanno trasformare i sogni in realtà. Ci sono in questo testo solitudini clownesche, egoismi e orgoglio a dismisura. Tutti sono posseduti da un “orgoglio mistico” che non si svela, ma che li racchiude in bozzoli mai esplosi in farfalle. Come dice il poetico Ripellino: “qui è presente il rombo del vuoto, la cavernosa risonanza del destino”.
Commedia di esistenze di tutti i giorni: Cechov ci introduce nel nulla delle nostre esistenze, ma riscattate dalla sofferenza, dal vago e indeciso sogno verso il futuro. La speranza che, dopo aver tutto perduto, tutto si ritrova nel cambiamento, ci aiuta a sopportare il nostro destino. A noi la vita potrà togliere tutto, ma non potrà togliere la libertà di inventare il futuro. Lo spazio desertico del nostro palcoscenico viene occupato da fantasmi, da miraggi, da pitture che rievocano atmosfere dell’arte del ‘900, fatte con nulla, con la carta, il materiale su cui gli artisti scrivono i loro sogni o dipingono le loro meravigliose illusioni, a dimostrazione che esistono SOGNI CHE IL DENARO NON POTRA’ MAI COMPRARE.

Giancarlo Nanni