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18 ottobre -6 novembre

IL TEMPO SBANDATO
Testo, regia e interpretazione Luisa Sanfilippo
Progetto scenico Vincenzo Sanfilippo

Note della compagnia: Un chiarore diafano rivela un'installazione che ricorda un “Cenotafio” senza corpo i cui abiti vuoti sono posti su un nero telone con su scritto “ Tempo sbandato” ad evocare il dio greco Khronos il padre del tempo che procede inesorabilmente con la sua falce. Una ouverture faustiana introduce la tonalità espressiva, “ortofonica” della partitura testuale simile ad un dramma di
passione che l'autrice anche nel ruolo di interprete si appresta a raccontare con gusto intimistico e raffinato, simile ad un'autobiografia di un viaggio esistenziale che vuole disarticolare con la sua “azione “ un tempo sospeso. La figura dell'attrice-autrice, dall'aspetto ancora giovane, viso etereo, vestita di bianco avanza con claudicante pantomima sorridendo con vivacità a volte “dispettosa” e ironica di chi considera ormai il suo corpo un “corpo-teatro dell'anima” da cui attraverso la scrittura scenica e il laboratorio vuole esorcizzare, come benefica terapia, i guai dell'esistenza, e l'arte, diceva il pittore Toti Scialoja, serve a dare uno schiaffo morale alla banalità dell' esistenza. Il primo movimento scenico vede la Sanfilippo scandire con voce e passo cadenzato, la diacronia del tempo subordinato ad un fluire incessante, attraverso una fine texture recitativa che impreziosisce l'involucro delle parole. Nell'elaborazione del costante andirivieni recitativo l'attrice porta alla luce il corso subacqueo dei sentimenti, dove il tempo teatrale viene modellato in un più alto ordine coscienziale di mutevole evoluzione, attraverso cadenze tonali, impalpabili sfumature che evocano la filigrana dei pensieri inespressi. Nel secondo movimento l'impianto scenico scopre due grandi sagome di acrobati dal corpo pittoricamente tatuati. L'azione drammatica acquista valenza figurative perché la Sanfilippo inserita in quella struttura-scultura diventa lei stessa un corpo-d'arte, un'icona che trascende le “stazioni “ d'una via crucis dell'esistenza, inchiodata in un'attività immota. Ha solo facoltà di parlare. Il suo sguardo introspettivo tenta di visibilizzare ciò che è solo evocato, meditato, riuscendo a rendere attiva una fisicità trattenuta. Eppure questo corpo statico di donna riesce, a tratti, a liberarsi da tale costrizione nell'attimo evocato di un evento particolare, di un aneddoto che affiora alla memoria; o nell'estensione verso il futuro, quando la donna immagina il suo corpo degradato fisicamente che avanza con difficoltà fisico-motorie; ma non la sua mente che al contrario evidenzia con mnemonica lucidità le sue intatte facoltà cognitive.
Il tempo, dunque, come “processo” , come continuità dell'esistere in rapporto al divenire successivo e continuo dei giorni che verranno. Il tempo come intuizione di esperienze interiore del fluire degli stati psichici e della successione delle idee nella mente.
Il terzo movimento, estende il proprio raggio di connessione con un altro spettacolo precedente dal titolo “Silenzi eloquenti” dove l'autrice riannoda più intimamente le ragioni di una memoria stratificata dal tempo. L'epilogo conclude lo spettacolo con un'azione performativa dove la Sanfilippo svolge per tutta l'ampiezza dello spazio scenico un lungo candido telone su cui sono stati trascritti stralci del testo trasformando in codice visivo la scrittura drammatica. Questo mare di scrittura divenuto componimento visivo di parole, numeri, segni, macchie, cromatismi, pause, non è altro che la pagina bianca su cui ri-cominciare a ri-progettare il senso nascosto dell'esistenza,a cui il teatro (le arti in generale) attraverso la memoria continuamente rinnovata, fattasi lingua teatrale diventa portatrice di senso e di vita.